Chi non dubita non cubita


martedì 20 novembre 2012

ANALISI DELLA DIALETTICA RENZIANA




Dal 1977 le parole (parlate, scritte, cantate) mi danno da vivere, e credo di poter esprimere un parere sull'eloquio di chicchessia. 
In questo caso di Matteo Renzi, soggetto molto interessante sotto il punto di vista mediatico, onnipresente sugli schermi televisivi e continuamente con la bocca aperta. 
Indipendentemente da quello che dice, voglio qui soffermarmi su come lo dice.

Matteo dimostra una capacità colloquiale notevolissima, unita a enorme forza d'animo, smisurata autostima e incredibile resistenza fisica. Questo gli permette di parlare "a macchinetta" senza stancarsi né fermarsi per lunghi lassi di tempo. 
Ma quanto è efficace la sua dialettica? 
Vediamo. 
La prima impressione conta sempre molto, e a essa io sempre mi attengo, almeno all'inizio.

Voce: stridula, a volte gracidante, non certo attraente. Sono i portatori di timbri vocali simili che cercano di supplire con un maggior effluvio di parole, e Renzi lo fa, non potendo contare su toni accattivanti, pause a effetto, profondità di timbro.

Velocità: pazzesca, eccessiva, da multa (ne ha prese anche in auto...).

Prontezza: estrema, forse perché non ha ancora trovato qualcuno che sappia inchiodarlo e lasciarlo senza parole.

Correttezza lessicale: discreta, anche se cade spesso in bruttissimi: "Io sono uno di quelli che dice...", che mi fanno accapponare la pelle e le palle.

Varietà: limitata. Forse è inevitabile che uno che parla così tanto si ripeta anche così tanto. 
E non è solo la sua varietà lessicale a essere limitata, ma anche quella argomentativa.

Spontaneità: solo apparente. Si sente lontano un miglio che tutto ciò che dice è preparato, studiato, approvato dai suoi spin-doctors e dal suo non indifferente ego.

Risultato: la primissima impressione è più che altro positiva. Uno si dice: ma guarda quanto è bravo, sicuro di sé, dinamico, che belle cose dice...
Poi, quando ha smesso di parlare, lo stesso ascoltatore si chiede: cos'ha detto? E difficilmente gli è rimasto in mente qualche suo concetto, a parte la rottamazione. 
Giusto gli slogan rimangono.

C'è un motivo, anzi, più d'uno: troppi concetti, e troppo veloci. 
Ma se riesci a inseguirlo in tutti i talk-show tra cui a ritmo pazzesco rimbalza come la pallina di un flipper, mentre parla ti accorgi di aver già sentito quel concetto, quella frase, in almeno un'altra occasione. 
Si ripete, Matteo, e spesso con le stesse identiche parole, evidentemente studiate a tavolino. Un vizio dobbiamo dire piuttosto berlusconiano.
Non ha calcolato, il nostro indefesso oratore, che presentandosi in più programmi anche nello stesso giorno, dovrebbe saper dire cose diverse ogni volta, perché, chi più chi meno, i telespettatori di quel tipo di trasmissioni sono sempre gli stessi.

Giudizio finale: Matteo Renzi è un furbo (oltre che un turbo) della parola. 
Sicuramente pensa di essere il più ganzo di tutti, e trova terreno fertile nello smorto panorama televisivo/politico attuale. Ma la sua arma può ritorcerglisi contro. A volte un concetto semplice, espresso con poche e chiare parole funziona di più di un fiume in piena.
Lui parla in maniera torrentizia, poi arriva un Bersani qualsiasi e con un "Oh, ragassi..." lo batte alle primarie.

Consigli: calma, Matteo, dai più peso a quello che dici, rendi più preziose e meno inflazionate le tue parole, rallenta un po' il ritmo: chi ascolta non solo capirà meglio, ma ti darà anche più importanza. E' l'autorevolezza naturale che ti manca. Hai accanto personaggi molto esperti in mediaticità, strano che non te l'abbiano già raccomandato.

Ultimo consiglio: Matteo, ma fai come cazzo ti pare, forse hai ragione tu!


Gianni Greco